di Marco Nesci
La notizia del brutale assassinio di due dipendenti dell'ambasciata israeliana a Washington ha scosso profondamente. Un atto di violenza insensata, perpetrato al grido di "Free Palestine", merita la più ferma condanna. Non ci sono giustificazioni per un simile orrore, e il mio cordoglio va alle famiglie delle vittime.
Tuttavia, la reazione mediatica a questo tragico evento lascia sgomenti. L'immediata e massiccia risonanza, con aperture di telegiornali e approfondimenti prolungati, si focalizza in modo quasi esclusivo sulla matrice antisemita dell'attacco e sulla presunta vulnerabilità della comunità ebraica, la parola terrorismo sovrasta e tutto sembra mettere ordine su una scala di “valori” assoluti per cui due vittime innocenti israelite non valgono le centinaia di vittime innocenti palestinesi delle stesse ore.
Mentre i riflettori del mondo si concentrano su questo duplice omicidio, un'altra tragedia nella macelleria continua di Gaza, va avanti senza sosta ed è di proporzioni incommensurabilmente maggiori, tutto, continua in una minimizzazione mediatica di spregevole complicità: la carneficina quotidiana nella Striscia di Gaza non merita la stessa attenzione. Mentre i servizi speciali televisivi mettono in mostra l'orrore a Washington, a Gaza si contano ancora una volta corpi dilaniati dalle bombe, civili inermi – uomini, donne e bambini – falciati dai cecchini israeliani mentre disperatamente cercano cibo e acqua. Immagini di bambini sventrati, ridotti a brandelli, o carbonizzati, sono la cruda realtà di un'escalation di violenza che non conoscere fine, nell'indifferenza complice occidentale.
Per la "stampa di regime", queste atrocità appaiono come "dettagli", eventi collaterali di quello che loro definiscono un conflitto, che non è una guerra ma solo un genocidio. Viene presentato in modo parziale e distorto, al solo scopo di giustificare quello che agli occhi del mondo è solo ed esclusivamente uno sterminio. La vita di due vittime innocenti a Washington, pur nella sua tragicità, non può e non deve oscurare la sofferenza indicibile di centinaia di migliaia di palestinesi a Gaza.
L'antisemitismo è un male abominevole che va combattuto con fermezza ovunque si manifesti. Ma ridurre l'orrore di Gaza a una mera reazione all'odio antiebraico è una idiozia pericolosa e fuorviante. L'antisemitismo non risiede nel grido di "Palestina Libera", un'espressione di solidarietà con un popolo oppresso e condannato ad una pulizia etnica, bensì nelle azioni di chi perpetra o avalla un vero e proprio massacro di civili. L'antisemitismo si annida nell'indifferenza di fronte al genocidio, nelle politiche brutali del governo Netanyahu e nelle operazioni militari che seminano morte e distruzione indiscriminata.
I maggiori antisemiti di oggi sono l'esercito e il governo israeliano. Condannare l'antisemitismo è un imperativo morale, ma non può e non deve significare chiudere gli occhi di fronte all'orrore che si consuma a Gaza. Le vite palestinesi hanno lo stesso valore di quelle israeliane, e il silenzio assordante su questa immane tragedia è esso stesso una forma di complicità assoluta. Chi manifesta e scende in piazza per la libertà e l'autodeterminazione del popolo palestinese, non solo non è antisemita (ricordiamo agli smemorati che i palestinesi fanno parte dello stesso ceppo linguistico semita) ma lotta per la fine dell'oppressione e dell'occupazione israelita.

Sostienici con una semplice iscrizione annuale a 15€. Clicca su questo link e procedi ad iscriverti, Grazie: https://www.paypal.com/ncp/payment/PMJB8NE3334JS