da un articolo di Marco Revelli:
Su un punto Ursula von der Leyen ha detto la verità nell’ampia intervista rilasciata al settimanale tedesco Die Zeit, quando ha affermato che «l’Occidente come lo conoscevamo non esiste più». Affermazione di per sé devastante, perché se presa alla lettera significa che “non sappiamo più chi (né cosa) siamo”. Che un punto cardinale della nostra geografia politica si è dissolto.
D’altra parte è difficile negarlo: nel giro di un paio di mesi, o poco più, le due sponde dell’Atlantico si sono allontanate drammaticamente. L’ombrello americano sotto cui l’Europa aveva vissuto per otto decenni, si è chiuso bruscamente. I rispettivi linguaggi si sono fatti scortesi quando non esplicitamente ostili. Gli stessi interessi, da apparentemente convergenti, si sono rivelati improvvisamente contrapposti. I comportamenti delle rispettive leadership, nei due continenti, sono diventati incomprensibili gli uni agli altri, con gli europei convinti che a Washington si sia istallato un gruppo di caratteriali gravi e gli americani convinti che i governanti europei (pressoché tutti) siano una banda di velleitari scrocconi. Come nelle peggiori crisi coniugali, non ci si riconosce più.
Le guerre, lo sanno bene gli storici più avvertiti, soprattutto le guerre perse, portano alla superficie trasformazioni epocali che erano state a lungo sommerse. E questa che è ancora in corso col suo quotidiano tributo di sangue in Ucraina, è una guerra perduta (comunque finisca). Essa ha rivelato, con la brutalità che le è propria, da una parte la grande debolezza degli Stati Uniti come potenza imperale e insieme, dall’altra parte, l’irrilevanza dell’Europa come realtà politica nello scacchiere internazionale. Le convulsioni attuali derivano da questo inedito scenario. Ed è a quello scenario che ci si riferisce quando si dice che l’Occidente «non esiste più».
Certo l’America di Donald Trump non si risparmia nulla nel lavoro di picconatura e decostruzione della propria immagine tradizionale e delle consolidate alleanze, non solo con la politica dei dazi, rozzamente gestita come nelle peggiori negoziazioni affaristiche, ma con le minacce di invasione e annessione di Stati sovrani, e con l’uso di un linguaggio offensivo e scurrile. Un vento di pazzia. Ma con lo Shakespeare dell’Amleto, possiamo dire che c’è della logica in questa follia. Il deficit della bilancia commerciale Usa che sfiora ormai i 30 trilioni di dollari non è più sostenibile. Come d’altra parte il debito pubblico e soprattutto privato americano. Il costo di un’egemonia imperiale come quella passata non è più accettabile. Quel che accade, aldilà delle forme, ha una sua relativa inevitabilità.
Ma anche l’Europa non scherza

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