Marco Nesci
In questa fase storica di sconvolgenti cambiamenti globali, il tema della guerra si erge a discriminante politico centrale, ridefinendo gli schieramenti e le strategie del dominio a livello mondiale e, di quello politico in particolare, in Italia. Assistiamo a una profonda ricollocazione strategica della politica nazionale, con due recenti e imminenti piazze che ne rappresentano plasticamente lo spartiacque e al tempo stesso l'occasione per una potenziale ridefinizione.
La manifestazione pro-bellicista e interventista di Serra e Repubblica, tenutasi due sabati fa, e la prevista mobilitazione del 5 aprile contro la guerra e le spese militari, convocata dai 5 stelle e che vede l'adesione di numerose forze politiche, sociali e di movimenti, non sono semplici eventi isolati. Essi incarnano due visioni del mondo e del ruolo dell'Italia nello scenario internazionale diametralmente opposte, fungendo da catalizzatore per una riorganizzazione delle forze politiche e degli schieramenti.
Da un lato, si profila una ricomposizione bellicista in cui il centrodestra, forte della sua egemonia, sembra attrarre anche forze esterne. Il recente congresso di Calenda e il suo palese riavvicinamento a Meloni appaiono come un tentativo di intercettare i malumori interni al centrodestra, offrendo una sponda a posizioni interventiste. Allo stesso tempo, la partecipazione del Partito Democratico alla manifestazione pro-guerra, così come quel 50% di quel partito appiattito sulle posizioni guerrafondaie della von der Leyen ( presenti e vicini a Calenda e alla Meloni al congresso di Azione) apre scenari futuri tutt'altro che improbabili, suggerendo una convergenza su temi di politica estera e di difesa e bellicismo interventista di straordinaria pericolosità.
Dall'altro lato, la netta presa di posizione del Movimento 5 Stelle contro la guerra e l'invio di armi e della spesa del riarmo europeo, rappresenta un elemento di potenziale rottura nel panorama politico italiano. Se il movimento guidato da Conte avrà il coraggio di superare la "gabbia" del centrosinistra, ovvero quella logica di alleanze predefinite che spesso ne ha limitato l'azione politica, si potrebbero aprire prospettive inedite per la ricostruzione di un fronte popolare, del tutto inedito. Questo fronte, partendo dal rifiuto radicale della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, potrebbe innescare una ricomposizione di una sinistra autentica, dando un ruolo propulsivo anche alla cosi detta sinistra radicale, finalmente al servizio delle classi subalterne e delle fasce più deboli della società.
La rottura di questa "gabbia" del centrosinistra non è un mero cambio di alleanze, ma un obiettivo politico strategico che potrebbe restituire centralità alla ripresa del conflitto sociale e alla lotta di classe, temi spesso marginalizzati nel dibattito politico degli ultimi anni. In questo senso, il potenziale fallimento definitivo del "campo largo", un progetto politico che ha faticato a trovare una vera identità programmatica, potrebbe paradossalmente rappresentare un'occasione straordinaria, per riportare alla partecipazione e alla lotta politica quel 55% di persone che ha smesso di votare in buona parte per mancanza di “rappresentanza vera” che la ferrea logica bipolare ha determinato. Persone che considerando i due campi bipolari sostanzialmente identici su questioni sociali ed economiche ha smesso di credere che si possa cambiare e quindi ha decretato la inutilità del voto.
Questa occasione è da cogliere, darebbe la possibilità di dare vita a un'alternativa di sistema politico, economico e sociale che non è più procrastinabile, pena il definitivo tramonto della democrazia. Un'alternativa che metta al centro i temi della giustizia sociale, della redistribuzione della ricchezza, della difesa dei diritti dei lavoratori e, soprattutto, della costruzione di una pace duratura attraverso la diplomazia e la cooperazione internazionale, anziché attraverso la logica degli armamenti e dell'intervento militare.
Le prossime settimane e i prossimi mesi saranno cruciali per comprendere se questa potenziale ridefinizione strategica della politica italiana si concretizzerà. Le piazze di Serra e del 5 aprile rappresentano solo l'inizio di un confronto che potrebbe segnare una svolta significativa nella storia politica del nostro paese.

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