Redazionale
Ancora una volta, la CGIL alza la voce contro un sistema fiscale che ha due pesi e due misure. Mentre il governo continua a non intervenire sugli extraprofitti di banche e aziende energetiche, lasciando intatti i loro guadagni ultra miliardari, lucrati sui cittadini, la scure si abbatte su chi vive di stipendi e pensioni, spesso già al limite della sussistenza.
La denuncia del sindacato si concentra in particolare sulle modalità di calcolo degli acconti Irpef per il 2024. Nonostante l'introduzione di un sistema a tre aliquote, più favorevole per i contribuenti, i lavoratori dipendenti e i pensionati si vedranno costretti a versare gli acconti di giugno e novembre basandosi sul vecchio regime a quattro scaglioni, con aliquote "nettamente superiori" a quelle attuali.
Come sottolineano Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, e Monica Iviglia, presidente del Consorzio nazionale Caaf Cgil, questa disparità è una "clamorosa ingiustizia". L'articolo 1, comma 4 del D.Lgs. n. 216/2023 stabilisce infatti che per determinare gli acconti Irpef 2025 e 2026 si debba fare riferimento alle aliquote del 2023 (23%, 25%, 35% e 43%), ormai non più in vigore e decisamente più onerose.
"Non si può continuare a vessare chi vive di salario", tuonano i rappresentanti della CGIL. Questa decisione, che costringe i contribuenti a pagare acconti più alti del dovuto, rappresenta un ulteriore peso per le famiglie, già provate dall'inflazione e dal caro vita. Un'ingiustizia palese che evidenzia, ancora una volta, una politica fiscale che sembra premiare i grandi potentati economici a discapito dei cittadini comuni.

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