Mentre l'attenzione mediatica internazionale si concentra spesso sulle dinamiche politiche ai confini orientali dell'Europa, come in Georgia o Moldavia, eventi significativi all'interno dell'Unione Europea rischiano di passare in secondo piano. Le recenti proteste di massa a Sofia, in Bulgaria, rappresentano un campanello d'allarme che merita un'analisi più approfondita, soprattutto alla luce di ciò che "non ci raccontano" sui meccanismi democratici europei.
La scintilla che ha acceso la protesta bulgara è la decisione unilaterale del governo di adottare l'euro nel 2026, abbandonando la valuta nazionale, il lev. Questa scelta, imposta senza un previo coinvolgimento della popolazione o un dibattito pubblico significativo, ha generato un'ondata di indignazione tra i cittadini. La richiesta principale dei manifestanti è semplice e diretta: un referendum. Vogliono essere ascoltati, vogliono avere la possibilità di esprimersi su una questione che ritengono fondamentale per la sovranità economica e l'identità nazionale del paese.
Le immagini provenienti da Sofia parlano chiaro: manichini di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, sono stati dati alle fiamme in segno di disapprovazione verso le politiche economiche europee percepite come distanti e imposte. Ancor più simbolico è stato l'incendio appiccato all'ingresso della delegazione dell'UE, un gesto forte che esprime frustrazione e rabbia verso un'istituzione vista come sorda alle esigenze locali.
Se una protesta di tale intensità, con atti di contestazione così marcati, si fosse verificata in Georgia o Moldavia, l'eco mediatica sarebbe stata assordante. Verrebbe immediatamente etichettata come un sintomo di instabilità democratica, di rigetto delle "virtù" occidentali, di influenza esterna destabilizzante. In Bulgaria, membro dell'UE, la narrazione è inevitabilmente più sfumata, meno incline a un'enfasi sensazionalistica.
Eppure, la protesta bulgara solleva interrogativi cruciali sulla salute democratica all'interno dell'Unione Europea. Quando le decisioni fondamentali vengono prese dall'alto, senza consultare i cittadini, e quando la risposta popolare è così vigorosa da sfociare in gesti estremi, è lecito chiedersi se il modello democratico europeo non stia mostrando delle crepe, soprattutto quando si tratta di temi che toccano direttamente la vita delle persone e la loro identità nazionale. La "scomodità" di questa verità risiede forse proprio nel fatto che accade "in casa", minando la narrazione rassicurante di un'Europa sempre virtuosa e democratica.