I numeri sono impietosi, e spesso, volutamente ignorati nel dibattito pubblico: la NATO, pilastro dell'Occidente sedicente pacifico, detiene uno schiacciante 55% della spesa militare mondiale. Di contro, la Russia, dipinta come l'aggressore bellicoso, si ferma ad un modesto 4%. Un rapporto di forze di 13 a 1. Questo dato, di per sé stridente, dovrebbe indurre ad una seria riflessione: perché, di fronte a tale squilibrio già nettamente a favore dell'Occidente, si continua ad intensificare il riarmo? Qual è la logica sottesa a questa escalation di spese militari, che sembra ignorare la realtà dei fatti e le impellenti necessità sociali?
Se la NATO fosse realmente l'alleanza difensiva che proclama di essere, un tale dispiegamento di risorse economiche e militari apparirebbe non solo superfluo, ma francamente inspiegabile. La Russia, pur coinvolta nel conflitto in Ucraina, non possiede la capacità economica e industriale per rappresentare una minaccia credibile per un blocco militare che la surclassa in maniera così eclatante. La narrazione di una Russia incombente e aggressiva, utile a giustificare l'aumento delle spese militari, si scontra frontalmente con la realtà dei numeri.
Ed è qui che si insinua il dubbio, che per molti diventa una certezza: se questo riarmo non è necessario per la difesa, allora qual è il suo scopo? La risposta, amaramente lucida, emerge dalle pieghe del discorso dominante: serve per la GUERRA. Le élite politiche e militari occidentali, sempre più esplicitamente, non nascondono più la prospettiva di un conflitto di vasta portata. NATO, Unione Europea, Stati Uniti, attraverso dichiarazioni sempre più bellicose e azioni provocatorie, sembrano voler spingere il mondo sull'orlo di un baratro.
Ma chi paga il prezzo di questa smania guerrafondaia? Ancora una volta, sono i cittadini, le fasce più vulnerabili della società, a subire le conseguenze di scelte politiche scellerate. L'Italia, ad esempio, già oggi destina circa l'1,2% del proprio PIL al "vassallaggio NATO", come giustamente lo definiscono voci critiche. Si tratta di circa 90 milioni di euro al giorno, una cifra astronomica che sottrae risorse vitali al benessere collettivo della spesa sociale, e già così è intollerabile che una parte significativa della presunta opposizione, soprattutto il PD appoggi tale politica.
E le prospettive non sono certo incoraggianti. Gli Stati Uniti, con la consueta arroganza imperiale, parlano apertamente di "obblighi" che potrebbero arrivare fino al 5% del PIL. Anche fermandosi ad una percentuale mediana, al 3%, come ha candidamente ammesso il segretario generale della NATO, Rutte, le conseguenze sarebbero devastanti. Tradotto in termini concreti, significherebbe rinunciare a sanità, scuola, pensioni. Significherebbe smantellare lo stato sociale, sacrificare i diritti fondamentali dei cittadini sull'altare della guerra, nella logica politica del nuovo fascismo che avanza, che si riassume nel nome del “Suprematismo Occidentale”.
Questo è il "massacro sociale" che si profila all'orizzonte: la progressiva erosione del welfare, la precarizzazione del lavoro, l'aumento delle disuguaglianze, il tutto in nome di una presunta sicurezza che, nei fatti, si traduce in una crescente instabilità globale e in un rischio concreto di conflitto nucleare. Mentre i governi occidentali continuano a pompare miliardi nelle spese militari, i servizi pubblici essenziali languono, la povertà aumenta, le speranze per il futuro si affievoliscono.
È imperativo invertire la rotta. È necessario riportare LA PACE al centro del dibattito pubblico in Italia. Dobbiamo smascherare la retorica guerrafondaia, denunciare le menzogne che ci vengono propinate, rivendicare il diritto ad un futuro di prosperità e benessere, non di distruzione e morte. Appelli alla amatriciana, circa la necessita di fare fronte comune al fascismo, da chi in realtà su questo essenziale e dirimente punto fa le stesse cose del governo Meloni, è un tatticismo elettorale che produce solo altro astensionismo e un ulteriore distacco tra popolo e Istituzioni. Non possiamo permettere che la follia della guerra e il vuoto politico della retorica ci trascini in un abisso senza ritorno. È tempo di dire basta, di alzare la voce, di pretendere che la politica torni ad occuparsi dei bisogni reali delle persone, non degli interessi oscuri di chi specula sulla guerra e sulla paura. La pace non è un sogno utopistico, ma una necessità vitale, un obiettivo concreto per cui lottare con tutte le nostre forze ed è senza ombra di dubbio l'asse fondativo di una vera alternativa di potere. Il futuro delle nostre società dipende dalla nostra capacità di scegliere la via della ragione e del dialogo tra i popoli, abbandonando la pericolosa deriva militarista che ci sta conducendo verso il disastro.