Le scritte all'ingresso della foiba di Basovizza, di qualche giorno fa hanno fatto scattare l'indignazione della Meloni: “Oltraggio alla nazione, non resterà impunito” ma anche di tutta la pletora dei revisionisti storici ovunque collocati, in realtà al di la delle minacce in stile ventennio, si continua a falsificare la storia e soprattutto a non fare i conti con i massacri italiani fatti sulla poplazione slava tra il 41 e il 43.
Il regime fascista di Benito Mussolini, con la sua ideologia nazionalista ed espansionista, nutrì fin dalle origini un profondo disprezzo e una violenta ostilità nei confronti delle popolazioni slave. Questa avversione non rimase confinata alla retorica propagandistica, ma si tradusse in una politica sistematica di oppressione, deportazione, massacri e pulizia etnica perpetrata nei territori slavi occupati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1920 in un comizio a Pola Mussolini disse: “ Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara, io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani"
Questa frase riflette perfettamente la visione disumanizzante e razzista che il fascismo italiano proiettava sulle genti slave, considerate inferiori e ostacolo all'espansione imperiale italiana.
L'odio fascista verso gli slavi affondava le radici in un complesso intreccio di fattori ideologici, geopolitici e culturali. Da un lato, il nazionalismo italiano rivendicava la supremazia della "razza italiana" e la missione civilizzatrice di Roma, in contrasto con le culture slave percepite come arretrate e "barbariche". Dall'altro lato, l'espansionismo fascista verso i Balcani e l'Adriatico orientale si scontrava inevitabilmente con le popolazioni slave che abitavano quelle regioni, considerate un ostacolo da rimuovere per realizzare le ambizioni imperiali del regime. Questa combinazione di razzismo ideologico e interessi territoriali creò un terreno fertile per la violenza e l'atrocità.
Con l'entrata in guerra dell'Italia nel 1940 e l'invasione della Jugoslavia nell'aprile del 1941, le teorie razziste e le ambizioni espansionistiche del fascismo si tradussero in una brutale realtà di occupazione. Le truppe italiane occuparono vaste porzioni del territorio jugoslavo, in particolare la Slovenia, la Dalmazia, il Montenegro e parte della Croazia e della Bosnia-Erzegovina. In queste zone, il regime fascista instaurò un sistema di occupazione caratterizzato da repressione, violenza di massa e tentativi di italianizzazione forzata.
Una figura chiave in questa politica di terrore fu il generale Mario Roatta, comandante della 2ª Armata italiana e successivamente responsabile del Comando Superiore delle Forze Armate in Slovenia e Dalmazia (Supersloda). Roatta fu un esecutore zelante delle direttive del regime fascista, improntate alla repressione brutale di qualsiasi forma di resistenza e alla "pulizia etnica" delle popolazioni slave considerate "ostili". Le sue direttive e quelle dei suoi superiori promossero una spirale di violenza che culminò in massacri di civili, rappresaglie indiscriminate, deportazioni e l'istituzione di campi di concentramento.
Tra i massacri più efferati compiuti dalle truppe italiane sotto il comando di Roatta, spiccano gli eccidi perpetrati nella provincia di Lubiana (Slovenia). A partire dall'estate del 1942, in risposta all'intensificarsi della resistenza partigiana, Roatta ordinò una serie di operazioni di "bonifica" che si tradussero in una vera e propria campagna di terrore contro la popolazione civile. Interi villaggi furono dati alle fiamme, migliaia di civili innocenti furono uccisi sommariamente, spesso dopo essere stati torturati. Si stima che solo nella provincia di Lubiana, le truppe italiane abbiano ucciso diverse migliaia di civili sloveni tra il 1942 e il 1943.
Un episodio particolarmente cruento fu il massacro di Podhum, avvenuto il 12 luglio 1942. In rappresaglia per un attacco partigiano, i soldati italiani rastrellarono il villaggio di Podhum, vicino a Fiume, e fucilarono sommariamente tutti gli uomini validi, per un totale di oltre 90 vittime, tra cui numerosi anziani e adolescenti. Il villaggio fu poi dato alle fiamme e raso al suolo. Questo massacro, come molti altri, fu giustificato dalla propaganda fascista come una necessaria "azione di pulizia" contro i "banditi slavi" e i loro "complici".
Oltre ai massacri diretti, le truppe italiane sotto Roatta si distinsero per l'uso sistematico della tortura e delle rappresaglie indiscriminate. I prigionieri partigiani e i civili sospettati di collaborare con la resistenza venivano sottoposti a interrogatori brutali, spesso accompagnati da sevizie e torture che causavano la morte o lasciavano segni indelebili. Le rappresaglie per azioni partigiane erano spesso sproporzionate e colpivano indiscriminatamente la popolazione civile, alimentando un clima di terrore e risentimento.
Campo di concentramento di Arbe (Rab)
Un altro aspetto cruciale della politica repressiva fascista fu l'istituzione di campi di concentramento per internare civili slavi considerati "ostili" o "indesiderabili". In questi campi, come quelli di Gonars, Arbe (Rab) e Monigo (Treviso), migliaia di persone, tra cui donne, bambini e anziani, furono rinchiuse in condizioni disumane, soffrendo fame, malattie, maltrattamenti e violenze. Si stima che nei campi di concentramento italiani siano morte diverse migliaia di civili slavi, vittime della politica di sterminio indiretto attuata dal regime fascista. Il campo di concentramento di Arbe, in particolare, divenne tristemente noto per l'altissima mortalità, soprattutto infantile, causata dalle terribili condizioni igienico-sanitarie e dalla mancanza di cibo e cure mediche.
La violenza fascista contro gli slavi non si limitò ai massacri e ai campi di concentramento. Il regime attuò anche una politica di italianizzazione forzata dei territori occupati, cercando di cancellare l'identità culturale slava e imporre la lingua e la cultura italiana. Le scuole slovene e croate furono chiuse e sostituite da istituti italiani, i toponimi slavi furono italianizzati, e fu promossa una massiccia immigrazione di coloni italiani nelle zone occupate. Questa politica di snazionalizzazione forzata contribuì ulteriormente ad esacerbare il conflitto e l'odio tra italiani e slavi.
È importante sottolineare che le atrocità commesse dal regime fascista contro gli slavi non furono episodi isolati o eccessi di singoli individui, ma il risultato di una precisa politica di oppressione e sterminio pianificata ai vertici del regime. Le direttive di Mussolini e dei suoi gerarchi, così come gli ordini di generali come Roatta, promossero attivamente la violenza contro le popolazioni slave, considerate un nemico da annientare. Questa politica fu alimentata da un'ideologia razzista che disumanizzava gli slavi e giustificava qualsiasi forma di brutalità nei loro confronti.
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le atrocità fasciste contro gli slavi rimasero a lungo un capitolo dimenticato della storia italiana. Per decenni, la memoria di questi crimini è stata oscurata dalla retorica autoassolutoria che ha cercato di minimizzare le responsabilità italiane e di presentare l'occupazione fascista come meno brutale di quella nazista. Solo negli ultimi anni, grazie al lavoro di storici e ricercatori, si è iniziato a fare piena luce su questi eventi tragici e a riconoscere la portata e la gravità delle atrocità commesse dal regime fascista contro le popolazioni slave.
È fondamentale ricordare e studiare questi eventi per comprendere appieno la natura criminale del regime fascista e per onorare la memoria delle vittime. Il riconoscimento delle responsabilità storiche è un passo necessario per costruire un futuro di pace e di rispetto reciproco tra Italia e i paesi slavi, basato sulla verità e sulla memoria condivisa. Le atrocità fasciste contro gli slavi ci ricordano quanto sia pericolosa l'ideologia dell'odio e della discriminazione e quanto sia importante vigilare affinché simili orrori non si ripetano mai più.
Non fare i conti con la storia delle atrocità compiute dai fascisti italiani è un’autoassoluzione inaccettabile ecco perché parlare delle Foibe come si fa da anni in chiave anti partigiana e contro i partigiani di Tito, non è solo una revisione storica inaccettabile, è la pronuncia dell’assoluzione del fascismo e delle sue atrocità imperiali in Italia e fuori.