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L'Italia Isolata e Servile: Tajani, la "Ducetta" e l'Ombra di Trump sulla Corte Penale Internazionale

2025-02-09 01:00

Marco Nesci

politica interna,

L'Italia Isolata e Servile: Tajani, la "Ducetta" e l'Ombra di Trump sulla Corte Penale Internazionale

Il governo Meloni contro la Corte Internazionale Penale, Tajani fedele servitore a stelle e strisce.

Nel panorama geopolitico contemporaneo, segnato da crescenti tensioni e conflitti, la Corte Penale Internazionale (CPI) si erge come un baluardo fragile ma essenziale per la giustizia e la responsabilità internazionale. Un recente sussulto di solidarietà globale si è manifestato con la sottoscrizione di un documento a difesa della CPI da parte di ben 79 paesi, provenienti da diversi continenti. Un gesto di sostegno che assume una rilevanza particolare considerando che lo Statuto della CPI, pietra angolare del diritto penale internazionale, fu redatto proprio a Roma, conferendo alla città eterna un ruolo simbolico e storico in questa cruciale istituzione.

Eppure, mentre il mondo civile si stringe attorno alla Corte, un'eco stonata, dissonante, giunge dall'Italia, o meglio, dal governo guidato dalla cosiddetta "ducetta" – appellativo che, con sarcasmo e disapprovazione, sembra delineare i tratti di una leadership autoritaria e poco incline al dialogo nazionale e internazionale. In questo contesto, la figura del Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, emerge come protagonista di una posizione tanto ambigua quanto inquietante. Non solo l'Italia non figura tra i 79 paesi firmatari del documento pro-CPI, ma Tajani si spinge oltre, lanciando una provocazione che suona come un vero e proprio affronto alla comunità internazionale: "Bisognerebbe indagare la Corte Penale Internazionale", dichiara, con una leggerezza disarmante e una palese mancanza di comprensione del ruolo e dell'importanza della CPI.

Questa presa di posizione isola l'Italia nel contesto internazionale, allineandola pericolosamente con le frange più reazionarie e ostili al diritto internazionale. Non sfugge, infatti, il parallelismo inquietante con le politiche adottate da Donald Trump, l'ex presidente americano noto per il suo approccio unilaterale e per la sua aperta ostilità verso le istituzioni multilaterali. Si ricorda come già nel 2020 Trump avesse sanzionato Fatou Bensouda, allora procuratrice capo della CPI, e il suo vice, colpevoli di aver avviato un'indagine sui crimini commessi in Afghanistan. Un'azione autoritaria che prefigurava un atteggiamento di sfida aperta alla Corte. Oggi, la storia sembra ripetersi, con un nuovo ordine esecutivo firmato da un successore di Trump (che, per quanto non esplicitamente nominato, il contesto temporale e le politiche descritte rimandano inequivocabilmente all'era trumpiana o a un suo epigono politico), che colpisce nuovamente i funzionari della CPI, accusata di azioni "illegittime" contro gli Stati Uniti e Israele. Le misure adottate sono draconiane: divieto di ingresso negli USA per gli investigatori della Corte e i loro familiari, unitamente al congelamento dei beni eventualmente detenuti nel paese.

L'eco di queste politiche trumpiane sembra risuonare sinistramente nelle parole e nelle azioni di Tajani. Come  si fa a non definire il Ministro degli Esteri italiano come espressione di un "servilismo ostentato e senza riserve" verso quello che viene definito, senza mezzi termini, il "trust sociopatico più pericoloso del pianeta Terra: Trump & Netanyahu". Un giudizio tranciante, che dipinge un quadro di sudditanza politica e ideologica allarmante. Si cita, a riprova di questa tesi, una serie di dichiarazioni e atteggiamenti di Tajani che appaiono quantomeno discutibili. La sua reazione di fronte al conflitto israelo-palestinese, ad esempio, è minimizzante e accondiscendente verso le azioni di Israele. "Mi pare che in Israele fino ad oggi sia prevalso il buon senso. Finora hanno colpito solo i centri di Hamas", afferma Tajani, con una serafica indifferenza verso le migliaia di vittime civili palestinesi, tra cui un numero impressionante di bambini. E mentre Spagna, Irlanda e Norvegia annunciano con coraggio il riconoscimento formale dello Stato di Palestina, aggiungendosi ai 142 paesi che già hanno compiuto questo passo, Tajani si trincera dietro una posizione dilatoria e pretestuosa: "L'Italia riconoscerà la Palestina quando questa riconoscerà Israele", una condizione che suona come un modo elegante per non riconoscere affatto lo Stato palestinese, perpetuando uno status quo iniquo e insostenibile.

Del resto Tajani non è solo questo. Guardando più a fondo, si delinea un ritratto biografico tutt'altro che rassicurante. E’ una figura di un uomo politico opportunista, un trasformista abile nel navigare le correnti politiche, ma privo di una bussola etica solida. Ricordiamo il suo passato monarchico convinto in gioventù, un anacronismo ideologico che stride con le sfide del presente. La sua carriera giornalistica, dapprima come cronista parlamentare democristiano e poi come fedele scudiero di Indro Montanelli al "Giornale", il suo è un percorso professionale caratterizzato da un'adesione acritica al potere dominante di turno. Il passaggio alla politica attiva, al servizio di Silvio Berlusconi, di cui fu portavoce, deputato e consigliere comunale, è  un ulteriore esempio di questo trasformismo politico. Oggi, Tajani vuole passare come il volto "prudente" di Forza Italia, ma è facile  smascherare questa immagine rassicurante, rivelando un sottostante opportunismo e un'ambizione sfrenata.

Luminante sono alcuni aneddoti biografici, come l'adesione giovanile al Partito Monarchico, l'episodio dell'aggressione subita da giovani operai in gioventù per le sue simpatie monarchiche, e persino le sue dichiarazioni indulgenti su Mussolini ("Da un punto di vista di fatti concreti realizzati non si può dire che non abbia realizzato nulla"), contribuiscono a costruire un quadro complessivo inquietante. Evidente che il soggetto , neanche troppo velatamente, si ponga come vero obiettivo il Quirinale, la massima carica istituzionale italiana. E questa prospettiva, alla luce del ritratto delineato, appare tutt'altro che rassicurante.

Non possiamo non sottolineare un allarme profondo sulla direzione che sta prendendo la politica estera italiana sotto la guida della "ducetta" e del suo Ministro degli Esteri. Una direzione che sembra allontanare l'Italia dai valori fondanti del diritto internazionale e della solidarietà globale, avvicinandola pericolosamente alle posizioni più reazionarie e isolazioniste della scena mondiale. La figura di Tajani, emblema di un trasformismo politico senza scrupoli e di un servilismo acritico verso potenze straniere controverse, è un sintomo preoccupante di una deriva autoritaria e di una pericolosa perdita di bussola etica e politica. Il futuro, in questo scenario, appare incerto e carico di ombre inquietanti.

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