Policy

progettare il futuro

Cookie-Policy

Privacy-Policy

Terms-and-conditions


facebook
instagram
youtube
whatsapp
tiktok

Riprendiamoci il diritto al lavoro e alla giustizia sociale

2025-02-04 01:00

Tito Griffini . Seg. Circolo Bianchini PRC Ge

politica interna,

Riprendiamoci il diritto al lavoro e alla giustizia sociale

Lavoro e giustizia sociale, calpestata la dignità dei lavoratori. Ora si deve reagire.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. (Costituzione Italiana art 4)


Magari: la situazione reale

Negli ultimi trent’anni il diritto ad un giusto lavoro è stato duramente attaccato e non è una forzatura sostenerlo se si considerano i salari di € 6 all’ora e anche meno, dipendenti mascherati da false partite IVA, orari spezzati che non permettono un’organizzazione di vita lineare, le stragi ed incidenti sul lavoro e l’allungamento dell’età pensionabile (che tra l’altro vede proprio nei lavoratori over sessanta una buona percentuale di “colpiti ed incidentati” sul lavoro).

La frammentazione contrattuale in centinaia di contratti farlocchi e fasulli, spesso firmati da sindacali “gialli e inesistenti”, e la pratica dei sub-appalti, hanno fortemente condizionato la possibilità di un fronte unito del lavoro per intere categorie operaie e impiegatizie nella logistica, nei servizi, nel turismo, ecc

Il lavoro è diventato sempre più precario a causa della condizione dell’economia debole del paese e dalla globalizzazione. 

Contrariamente a quanto avvenuto in Europa, in Italia da trent’anni i salari diminuiscono in termini reali e la precarizzazione continua a crescere.

Anche gli ultimi rinnovi contrattuali hanno recuperato solo una parte dell’inflazione registrata, aumentando così la perdita di potere d’acquisto dei salari e degli stipendi. 

Queste condizioni hanno causato un costante peggioramento delle condizioni del lavoro.

Quasi come se il tempo di vita dedicato al lavoro non fosse sangue, fatica e tensione ma semplice sospensione della vita della persona che, finito di faticare, potrà finalmente tornare ad essere il consumatore tanto seguito con attenzione dal sistema economico.

Il lavoro, specialmente tra i giovani che non hanno che l’esperienza del 2ndo millennio, lunga fase di pace sociale, è diventato così qualcosa che va accettato con gratitudine anziché una sottrazione di tempo di vita necessario per soddisfare le necessità materiali delle persone. 

Piu Furto che sottrazione, ricordiamolo, che avviene solo se il lavoro prodotto produce ricchezza…altrimenti cessa la “gratitudine pelosa” dell’impiego sia nei grandi gruppi che nelle piccole aziende.

Parallelamente la strombazzata situazione occupazionale considera occupato anche chi lavora poche ore alla settimana, magari con un part time imposto.

La conseguenza dell’attacco al lavoro è un aumento sostanziale della povertà. Secondo l’Istat si contano nel ’23 oltre 2,8 milioni di famiglie sotto la soglia della povertà assoluta per circa 5,7 milioni di persone. L’incidenza di povertà relativa familiare del ’23 è pari al 10,6%, e si contano oltre 2,8 milioni di famiglie sotto tale soglia, coinvolgendo quasi 8,5 milioni di individui.

Responsabilità politiche e sindacali

Negli ultimi quattro decenni quella che si definisce sinistra moderata si è fatta paladina della precarizzazione, della flessibilità e dell’allungamento della vita lavorativa.

Questa è in realtà, politicamente, un centro liberale, soggiogato da una visione liberista ed interclassista, convinto che la crescita economica possa andare anche a beneficio delle parti più povere del paese (teoria del Trickle down).

 Il “pacchetto Teu” del 97 del governo Prodi, La legge Fornero del 2011 del governo Monti ed il Job Act del 2016 del governo Renzi, hanno visto il PDS prima e il PD poi  in prima fila nella promozione ed approvazione di queste inique leggi.

Fa sorridere chi, sperando nel “nuovo” che avanza con la segreteria attuale, pensi ad una inversione di rotta di un partito con tale curriculum storico.

In questo lungo percorso, spesso, le OO.SS. maggiormente rappresentative hanno più mimato azioni di protesta e contestazione che attivato movimenti di contestazione ed azione. Ricordiamo gli “scioperi di poche ore contro la legge Fornero e contro l’abolizione del Job Act, solo a titolo di esempio 

Il perché del tradimento 

La sinistra moderata ed il centro-finta sinistra negli anni hanno fatto propria una visione del mondo pacificato in costante crescita dell’economia, dove le fasce sociali deboli non potessero che avere un naturale sviluppo capitalistico positivo costante, offrendo sempre iù spazio alla libertà “d’impresa”.

Tale approccio ha contribuito a rafforzare quella tendenza che vede negli ultimi 25 anni l’economia del paese, al netto delle crisi varie (2008, covid, ecc.) sostanzialmente stagnante, e la sperequazione, e cioè la forbice sociale, allargarsi a dismisura; le briciole di profitto non sono affatto cadute o sono talmente trascurabili da non notarle.

La sinistra governativa e liberista, fedele al dogma, non può considerare la redistribuzione del reddito a favore delle classi popolari ma al massimo una moderazione fiscale trasversale a scapito della spesa sociale.

L’evasione fiscale deve essere perseguita senza terremotare troppo il sistema economico iperliberista degli evasori.

Nel loro lessico sono spariti “i lavoratori” per lasciare spazio “alle famiglie ed alle imprese” quali soggetti da difendere proprio perché, secondo questa dottrina, non esiste più contraddizione tra capitale e lavoro, imprese e sfruttamento.

Gli imprenditori, dal canto loro, considerando il costo del lavoro come qualsiasi altro costo, secondo una logica d’impresa, hanno considerato questa “contraddizione” e compresso stipendi e salari.

Inchiesta  e analisi sociale 

Dobbiamo collocare in questo scenario anche la teoria, menzognera, della cetomedizzazione che recitano come un mantra i nostri sostenitori del liberismo.

Questi sostengono che la classe operaia, come era intesa nel Novecento, non esista più essendosi “elevata” a ceto medio e che quindi non ci sarà più bisogno di conflitto ma solo di concertazione. 

Secondo questi ci sono risorse abbondanti e stiamo tutti bene e ci sono quindi grandi margini di mediazione tra le necessità del lavoro e quelle dell’impresa. 

Invece, come dimostra la realtà, i salari e gli stipendi riescono, così, sempre meno a soddisfare un livello di vita confacente alla popolazione dell’Italia, settima potenza economica mondiale.

Anche in tema di analisi della segmentazione sociale del nostro paese questa teoria è falsa.

Secondo stime autorevoli i dipendenti privati o pubblici, operai e impiegati salariati e stipendiati sono oltre la metà della popolazione lavorativa italiana (circa tredici milioni di persone) e di questi la grande maggioranza percepisce un reddito medio basso.

Non esiste quindi solo un grande ceto medio ma un esercito di lavoratori salariati e stipendiati pagati poco ed un ceto medio di dimensioni numeriche ben inferiore a quest’esercito.

Dobbiamo quindi rimettere al centro delle nostre analisi ed azioni un lavoro continuo di studio e ri-categorizzazione delle classi a partire dalla realtà sociale di oggi e di quella prevedibile domani.

Ma dobbiamo anche imporre al centro del dibattito la questione lavoro, in primis la sua qualità e la sua retribuzione rivendicando di trovare le risorse dove sono e cioè nel profitto.

Dobbiamo tornare a fare lavoro di intervento e d’inchiesta nei luoghi di lavoro non delegando questa attività al solo sindacato per ricostruire una visione di classe aggiornata.

Il sistema politico

Anche a livello politico dobbiamo cercare di imporre un differente scenario.

La scelta antidemocratica dei due poli che comprendono al loro interno tutte le classi sociali ha finito per favorire i ceti più abbienti a sfavore di quelli più svantaggiati secondo la teoria del “ceto medio.

 Entrambi i due poli rappresentano politicamente parti tra loro in contraddizione palese come quelle tra impresa/lavoro, evasori/contribuenti onesti, ambientalisti/inquinatori per garantire non stabilità di governo ma interessi ben riconoscibili.

Il sistema politico è stato così organizzato per difendere il ceto non più numeroso ma più ricco (in qualche caso forse anche meno povero), che spazia dagli imprenditori ai liberi professionisti ai dirigenti e alle “vere” partite IVA 

Alla questione “salariale” diventata centrale si contrappone un sistema politico non è costituito per affrontarla.

L’ astensione elettorale ed il disimpegno sociale così crescono in quei settori di società lasciati senza difese e senza una propria soggettività, aprendo varchi ancora più grandi per l’offensiva redistributiva al contrario.

Dobbiamo rivendicare la correttezza del metodo proporzionale quale migliore strumento per rappresentare tutta la società e separare il “grano dal loglio” dell’inganno del centro finta sinistra

Compito delle forze di sinistra, a partire dai comunisti, indicare un’alternativa politica e sociale per riprendere il cammino per un futuro di lotte e, speriamo, successi

Tito Griffini, Segr. Circolo Bianchini PRC Ge

 

 

 

Sostieni la nostra attività