La sentenza autarchica della Consulta che disconosce il referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata merita, al di là delle considerazioni giuridico-tecniche, una valutazione politica. E’ evidente che ad aprire una strada per la secessione del nord è stata la deleteria modifica del titolo V del 2001 per opera consapevole del centrosinistra, anche conseguenti con manovre truffaldine, come la firma del governo Gentiloni l’ultimo giorno del suo mandato. Ricordiamolo sempre nelle nostre iniziative!
La riformulazione dell’art.117 introduce come ulteriore elemento d’allarme la clausola di supremazia “Su proposta del governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale. “La formula offre all’esecutivo spazio per molteplici forzature: invocando l’interesse nazionale (leit-motiv dell’ultimo decennio) sarà possibile imporre politiche e progetti invisi alle comunità chiamate a pagarne i costi economici, ambientali, sociali e sanitari. Se ha una sua ratio prevedere che sia il livello centrale a stabilire le regole generali dell’agire in materia di ambiente, garantendo come precondizione il pieno rispetto degli art. 9 e 32 della Costituzione, nello scenario dato il nuovo assetto si tradurrebbe inevitabilmente in un ulteriore arretramento delle legittime pretese dei cittadini potenzialmente o concretamente impattati.
Di fronte a questa minaccia, convinti è vitale ricostruire un sistema paese fondato sulla redistribuzione dei poteri e della ricchezza e sulla giustizia ambientale, non possiamo che individuare nell’approvazione della riforma un rischio enorme per la tenuta sociale e democratica del paese e nel coinvolgimento pieno delle realtà di resistenza territoriale per una prospettiva concreta per una reale trasformazione del nostro paese. Una trasformazione che ha bisogno della resistenza permanente se ricordiamo la porcata dei governi di centrosinistra e di centrodestra che hanno annullato la vittoria popolare sul Referendum del 12 e 13 giugno 2011, con la stragrande maggioranza dei cittadini italiani votanti (26 milioni) che sancirono la non privatizzazione dell’acqua pubblica che venne vergognosamente negato.
Ora da dove ripartiamo dopo la decisione della Corte Costituzionale contro la divisione dell’Italia che produrrebbe un nuovo feudalismo si avvale della storia italiana? Ricordiamoci che molte volte le battaglie iniziate dalle minoranze sono poi diventate battaglie di popolo per la trasformazione politica e sociale e hanno preso forma culture di governo atte a determinare la sconfitta dei peggiori tratti dei poteri dominanti all’opera per dimensionare a loro immagine somiglianza i rapporti sociali e politici tramite restrizioni violente delle libertà quando non riuscivano con gli atti legislativi, come quelli in corso in Italia per ritornare alle forme divisive precedenti all’Unità d’Italia, seppur dentro un guscio, ormai svuotato, chiamato nazione.
La divisione in atto, per soddisfare gli animi secessionisti delle Giunte del nord, ma anche di qualche Giunta del sud (non delle
cittadine e dei cittadini tenuti all’oscuro) è stata programmata dagli ultimi quattro governi con una vera e propria secessione delle zone ricche, o meglio dire dei settori ricchi delle Regioni del nord in quanto le disuguaglianze e le disparità di condizioni sociali aumenterebbero ancora per le già ampie fasce di povertà nelle periferie di quelle Regioni.
Ne sono drammaticamente consapevoli i milioni di cittadini ormai costretti a ricorrere all’onerosa sanità privata. Povertà dalle quali usciranno solo per poter, chi potrà farlo, elemosinare lavoro e salute fuori dai confini regionali, e come cittadini poveri del nord relegati nelle riserve di periferia, senza adeguati Servizi sociali e destinati a vivere di meno, e male, nei confronti delle zone ricche nelle grandi città, come nei paesi delle città metropolitane, come nei paesi di montagna.
La questione di fondo è se vogliamo difendere e rilanciare una struttura pubblica dei servizi forte e capace di sostenere lo scontro con la privatizzazione globale, in atto in tutta Europa, lavorando per raddrizzare le numerose storture di governance a cominciare dall’impianto giuridico attuale, anche Comunitario, che ha contribuito al disgregarsi del compromesso socio-politico che ha costruito il welfare, oppure vogliamo accettare supinamente una deriva che porterà al prosciugamento delle risorse pubbliche con riduzione dei servizi, all’aumento della tassazione, all’incremento della quota a favore dei Fondi Integrativi con buona pace del controllo sul plusvalore derivato? Tenendo conto che già grosse crepe sono state aperte con l’introduzione del “Welfare aziendale” e della sanità integrativa nei contratti, come quello del comparto sanità, imperniato sulla deregolazione del lavoro favorendo, con un vero e proprio disconoscimento delle lotte che hanno portato alla legge 833 dopo la fine delle mutue, la facoltà dei lavoratori di farsi una mutua privata per loro e i loro famigliari.
Beh, sarebbe il caso di darci da fare ora che siamo ai limiti della barbarie su ogni aspetto della nostra vita, dal lavoro ormai senza più diritti elementari fino alla morte (record europeo di oltre tre morti giornaliere); dal non lavoro di milioni giovani e meno giovani; dal lavoro schiavizzato dei precari; dall’imbarbarimento delle relazioni con i nostri simili, italiani e migranti.
Vogliamo darci una mossa prima che sia troppo tardi e ricadere nel baratro di un nuovo fascismo che ha facce e parole molto più viscide del passato? I fatti richiederebbero una reazione della società che ha nel DNA i principi della democrazia come governo del vivere civile.
Intanto non possiamo pensare di metterci a posto la coscienza pensando di stare ai margini delle cose e “dire la nostra” su facebook o su X e Instagram per partecipare alla vita sociale e politica mentre ci stanno, portando, sfruttando l’apatia popolare, prodotta dal potere dittatoriale della comunicazione mainstream. In merito ricordiamoci che l’Italia è al 77° posto nel mondo come relativa libertà dell’informazione.
Dovremmo capire che ci troviamo in una situazione che sta generando pericoli per la vita civile che se portati a compimento da leghisti e Fratelli d’Italia, dopo lo sporco lavoro di aratura fatto dai governi precedenti, ci vorranno altri trent’anni per ricostruite forme minime di democrazia, di convivenza civile e di diritti elementari, mentre invecchieranno le nuove generazioni sotto il capestro della disoccupazione e del non poter costruire un futuro lavorativo e familiare. Badiamo ai fatti che ci stanno crepando la vita.
La secessione va fermata nelle piazze e non illudendosi che la presunta opposizione parlamentare possa, e voglia, riformulare in positivo quanto richiesto dalla prima sentenza della Consulta, sulla quale esprimo un mio personale parere dichiarando che ha aperto la strada all’annullamento del Referendum abrogativo lasciando al governo ampia discrezionalità nel “consigliare” la modifica dei punti più brutali della Legge Calderoli.
di Franco Cilenti direttore mensile Lavoro e Salute